Nuovi studi sul silenziamento genico nella malattia di Huntington

 

 

DIANE RICHMOND & GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 16 giugno 2018.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Il 19 ottobre del 2015 fu annunciato l’avvio presso l’UCLH (University College London Hospitals) della prima sperimentazione su pazienti affetti dalla malattia di Huntington di un farmaco costituito da oligonucleotidi antisenso (ASO, da anti-sense oligonucleotides), ossia l’ISIS-HTTRx[1], in grado di silenziare l’huntingtina mutata. La dottoressa Sarah Tabrizi, direttrice dell’Huntington Disease Centre presso l’Institute of Neurology dell’UCL e responsabile della sperimentazione clinica, si diceva entusiasta, probabilmente attendendosi un approdo più rapido verso un trattamento in grado di modificare il decorso della malattia attraverso questa strategia. Gli ASO hanno una straordinaria potenzialità terapeutica per molte malattie neurodegenerative, perché possono essere resi specifici per ciascuna proteina patologica. La malattia di Huntington è ideale per questa strategia terapeutica innovativa, perché caratterizzata da una certezza genetica: tutti i portatori del gene mutante ad un certo punto svilupperanno la malattia.

Gli oligonucleotidi antisenso (ASO) sono catene singole di acidi nucleici in grado di legarsi ad una specifica sequenza di molecole dell’acido ribonucleico (RNA) e regolare l’espressione genica post-trascrizionale; tale proprietà può essere impiegata per ridurre l’espressione della proteina primariamente mutata nelle malattie neurodegenerative ad eredità mendeliana dominante, come la malattia di Huntington. L’espansione di triplette CAG ripetute nell’esone 1 del gene che codifica l’huntingtina, proteina nucleocitoplasmatica presente in assoni e sinapsi, causa la formazione di un tratto di lunghezza variabile di poliglutammina (Poli-Q)[2] all’estremo N-terminale della catena polipeptidica. Tale alterazione della struttura primaria condiziona una modificazione della configurazione terziaria che compromette la funzionalità dell’huntingtina, ad esempio nell’interazione proteina-proteina, e condiziona lo sviluppo di forme mal configurate, quali monomeri, oligomeri e protofibrille, che intervengono nei processi patogenetici della malattia di Huntington.

In questa patologia neurologica la sintomatologia è spesso dominata da movimenti aritmici involontari paragonati a quelli della danza (corea), ai quali si associano nel tempo disturbi psichici e del sistema nervoso autonomo che, nell’insieme, costituiscono una fonte di disabilità sempre più grave con l’avanzare della neurodegenerazione e la riduzione del volume dell’encefalo. La possibilità offerta dagli ASO di ridurre drasticamente i meccanismi patogenetici e fisiopatologici, anche a rischio di penalizzare i processi fisiologici nei quali interviene l’huntingtina (v. dopo), costituisce perciò una strategia terapeutica giustificata dalla possibilità di modificare il decorso della malattia, prolungare notevolmente il tempo vissuto senza gravi disabilità, migliorando la qualità della vita.

Uno “stato dell’arte” in questo campo della translational neuroscience è proposto da Lane e colleghi, che forniscono elementi per la traduzione della “tecnologia antisenso” in una terapia della grave malattia coreica.

 (Lane R. M., et al. Translating Antisense Technology into a Treatment for Huntington’s Disease. Methods in Molecular Biology 1780: 497-523, 2018).

La provenienza degli autori è la seguente: Ionis Pharmaceuticals, Carlsbad, CA (USA).

George Huntington, un medico generico della città di Pomeroy nell’Ohio, nel 1872 diagnosticò in una famiglia di Long Island e descrisse per la prima volta una forma ereditaria di corea, caratterizzata da movimenti ipercinetici aritmici degli arti, talora a sbalzi o a scosse, che solo con grande approssimazione si possono accostare a quelli di una danza. Alcuni storici della medicina hanno identificato questo quadro patologico con la malattia anticamente nota con il nome popolare di “Ballo di San Vito”, ma non tutti concordano con questa interpretazione. Nel secolo successivo, questa sindrome neurologica familiare entrò in nosografia con la denominazione eponima di Corea di Huntington, poi sostituita da quella di malattia di Huntington, quando è stata definita la sua eziologia genetica, come patologia da triplette ripetute[3].

Non così rara, come si credeva in passato, interessa nel solo Nord America più di 30.000 persone, e i trattamenti attualmente disponibili non sono in grado di arrestare e nemmeno rallentare il suo inesorabile andamento progressivo[4].

A lungo, in neurologia, è stata classificata tra le malattie neurodegenerative ereditarie caratterizzate da alterazioni dei nuclei della base encefalica che organizzano e regolano i movimenti. A sostegno della nozione che considerava la corea di Huntington una malattia dei “gangli della base”, si rilevava che nelle fasi iniziali erano particolarmente colpiti i neuroni responsabili del segnale in uscita dallo striato[5], ma numerosi studi autoptici hanno documentato, e non solo come accaduto in passato nelle fasi avanzate della malattia, un’estesa atrofia degenerativa della corteccia, dei nuclei della base telencefalica, del talamo e del tronco encefalico[6].

Nella fase iniziale, la malattia appare circoscritta ed espressa come un disturbo motorio ipercinetico[7], ma nella sua progressione tende ad estendersi, raggiungendo la massima espressione entro 10 anni dalle prime manifestazioni e mutando progressivamente i sintomi in bradicinesia e rigidità, che talvolta ricordano quelle della malattia di Parkinson. Le alterazioni psichiche, che nelle fasi iniziali vanno da una lieve depressione a disturbi del comportamento, con l’avanzare del processo patologico evolvono in un declino cognitivo che rappresenta spesso l’aspetto più rilevante e grave del quadro clinico e la maggiore causa di disabilità[8].

La progressiva perdita delle abilità cognitive e motorie è associata, al livello cellulare, alla formazione di inclusioni citoplasmatiche e nucleari di aggregati di huntingtina patologica che presenta un tratto Poli-Q espanso. In proposito, si ricorda che un numero di ripetizioni che ecceda le 35-36 glutammine si accompagna in genere a manifestazioni sintomatologiche, sebbene alcuni studi abbiano evidenziato che i Poli-Q di 36-39 unità presentino solo una penetranza incompleta. La media su campioni numerosi di persone affette è di 40-45 glutammine, ma sussiste una variazione piuttosto ampia, che va da 35 a 120 ripetizioni, come è noto da più di due decenni[9].

I casi familiari della malattia di Huntington, trasmessi come un carattere mendeliano semplice, ossia presente in tutte le generazioni, possono essere dunque riportati alla mutazione di un gene del braccio corto del cromosoma 4, altamente conservato attraverso la filogenesi. Si ricorda che l’identificazione in corrispondenza del sito cromosomico 4q16 del locus genico responsabile, mediante una convenzionale analisi del linkage, appartiene alla storia della neurogenetica perché costituì la prima volta in cui la causa di una malattia autosomica dominante fu stabilita con la sola analisi di varianti del DNA. A dieci anni di distanza dalla definizione del locus si è poi identificato il gene codificante una proteina di 350 kDA con ripetizione di triplette nell’esone 1, ossia l’huntingtina[10]. Questa macromolecola polipeptidica citosolica e nucleare è estesamente espressa anche fuori del sistema nervoso centrale; nei neuroni appare associata con i microtubuli e le vescicole sinaptiche, pertanto si ipotizza una sua partecipazione ai meccanismi del trasporto assonico. Fra i ruoli fisiologici più studiati vi sono l’intervento nei processi che controbilanciano l’apoptosi e una funzione nei meccanismi dello sviluppo.

A lungo si è ritenuto che gli accumuli della proteina mutata fossero gli unici e diretti responsabili del processo neurodegenerativo, attraverso l’innesco di una serie di reazioni in grado di indurre la morte per apoptosi dei neuroni implicati. Tuttavia, numerose evidenze sperimentali in contrasto con questa tesi hanno trovato riscontro, e ben presto il quadro della patologia è emerso nella sua notevole complessità. Ad esempio, nel modello murino della malattia YAC128, la formazione di inclusioni cellulari della proteina mutata segue e non precede il declino cognitivo-motorio dei topi. Un altro esempio è dato da un ceppo di topi esprimente solo una breve sequenza dell’huntingtina mutata, nel quale si rileva la formazione di aggregati e il conseguente sviluppo delle inclusioni tipiche della malattia, ma non i segni di disfunzione e degenerazione neuronica di altri ceppi modello della malattia, come YAC128[11].

Per questa ragione, oltre a monomeri, oligomeri e protofibrille formati dalla proteina Poli-Q, sono stati studiati numerosi altri aspetti della patologia[12] come l’innesco dell’autofagia, il ruolo della fosforilazione, dell’acetilazione e della sumoilazione. Yanai e colleghi hanno studiato il ruolo della palmitoilazione[13].

La ricerca terapeutica sul silenziamento genico è stata inizialmente focalizzata sull’impiego dell’interferenza RNA (RNAi) e poi sugli ASO.

Stanek e colleghi hanno dimostrato, già nel 2013, che la correzione mediata da ASO della de-regolazione trascrizionale è associata a benefici comportamentali nel modello murino YAC128 di malattia di Huntington[14].

Lane e colleghi osservano che è necessaria una comprensione profonda delle componenti di base, precliniche, cliniche ed epidemiologiche dello sviluppo del farmaco per migliorare le probabilità di un successo che, per il momento, è stato rimandato. Questo studio include le seguenti parti: 1) la caratterizzazione della storia naturale della malattia con l’evoluzione degli indici patologici verificati mediante i biomarker[15]; 2) l’uso di modelli preclinici predittivi per verificare l’ipotetica acquisizione di funzione dell’hungtintina mutante e la perdita di funzione della proteina naturale; 3) la caratterizzazione degli effetti tossicocinetici e farmacodinamici degli ASO in modelli sperimentali predittivi; 4) lo sviluppo di biomarker sensibili ed affidabili per monitorare l’impegno del target e gli effetti sulla patologia che si possono tradurre dai modelli animali alle persone affette da malattia di Huntington; 5) la definizione di un metodo di somministrazione del farmaco ASO che assicuri una distribuzione affidabile nel tessuto del sistema nervoso centrale rilevante per la patologia; 6) la progettazione di esperimenti clinici che consentano di passare rapidamente dalla prova di concetto alla prova di efficacia.

L’articolo di rassegna qui recensito è principalmente incentrato sulle tecniche di translational science, che possono consentire un efficiente e competente processo di sviluppo di ASO come trattamento realmente efficace per contrastare nel modo migliore il progredire della patologia.

 

Gli autori della nota ringraziano la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invitano alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond & Giovanni Rossi

BM&L-16 giugno 2018

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] L’ ISIS-HTTRx, somministrato nel fluido cefalo-rachidiano (liquor), è stato sviluppato dalla ISIS Pharmaceuticals grazie ad una collaborazione con la Roche.

[2] La tripletta CAG = glutammina, o “Q”, nelle ripetizioni di decine di unità dell’aminoacido è indicata con “Poli-Q”.

[3] Cfr. Note e Notizie 09-09-06 Malattia di Huntington: un importante progresso.

[4] Note e Notizie 22-10-11 Un marker per la malattia di Huntington.

[5] Reiner A., et al. Differential loss of striatal projection neurons in Huntington disease. Proceedings of the National Academy of Sciences USA 85, 5733-5737, 1988.

[6] In Wichmann T. & Mahlon R. DeLong, Neurotransmitter and Disorders of the Basal Ganglia, in Basic Neurochemistry (Brady, Siegel, Albers, Price) 8th edition, p. 865, 2012.

[7] In contrapposizione concettuale con i disturbi ipocinetici dovuti a patologia dello striato, come la malattia di Parkinson, causata dalla degenerazione dei neuroni dopaminergici nigro-striatali.

[8] Note e Notizie 09-09-06 Malattia di Huntington: un importante progresso.

 

[9] Gusella J. F. & MacDonald M. E., Huntington’s disease: CAG genetics expands neurobiology. Current Opinion in Neurobiology 5: 656-662, 1995.

[10] Note e Notizie 02-06-07 Una diagnosi precoce di corea di Huntington.

[11] Note e Notizie 09-09-06 Malattia di Huntington: un importante progresso.

 

[12] Note e Notizie 06-02-10 Uno squilibrio neurotossico nella malattia di Huntington. Si veda nell’elenco delle “Note e Notizie” per numerose recensioni di lavori sulla patologia della malattia di Huntington.

[13] Note e Notizie 09-09-06 Malattia di Huntington: un importante progresso.

[14] Stanek L. M., et al. Antisense oligonucleotide-mediated correction of transcriptional dysregulation is correlated with behavioral benefits in the YAC128 mouse model of Huntinton’s disease. Journal of Huntington’s Disease 2 (2): 217-228, 2013.

[15] Note e Notizie 02-06-07 Una diagnosi precoce di corea di Huntington.